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DA UN’ESPERIENZA VISSUTA…. Consigli per dirigere il coro della scuola.

 

Lavorare con un coro  nella scuola media  significa mettere nel conto, sin dall’inizio, che “ogni anno il coro è diverso”.

I ragazzi che vanno alle superiori generalmente lasciano l’attività a causa di un maggior impegno scolastico

 (qualcuno comunque rimane  sempre almeno per un anno) ed entrano a ottobre i nuovi ragazzi, pertanto non è assolutamente detto che le abilità raggiunte a fine anno scolastico siano le stesse che si ritrovano all’inizio dell’anno successivo.

 

 Da ciò ne consegue un punto fondamentale, che ovviamente influisce sulla conduzione dell’attività e sulla scelta del

repertorio: il direttore deve saper cogliere le “reali possibilità del gruppo” e mettere da parte, spesso, le proprie ambizioni personali.

 A Giugno il coro è in grado di cantare a tre voci, a ottobre bisogna iniziare nuovamente dalle più elementari regole sull’impostazione della voce e dal canto all’unisono. Indubbiamente se rimane un buon gruppo dall’anno precedente, questo funge da traino e fa da tutor ai nuovi arrivati, velocizzando il raggiungimento dei risultati tecnici.

Anche se si ha la sensazione  di dover “tornare indietro” è meglio non forzare troppo i tempi. Lo stimolo del concerto è certamente fondamentale per accelerare lo studio ed il miglioramento vocale ed è anche un momento di “grande emozione”.

EMOZIONE, intesa nel senso etimologico di exmovere – muover via, appassionare, con-muovere, è la parola chiave per far funzionare l’attività. Il condividere, conduttore ed alunni, i momenti dello stare insieme, i momenti della creazione e di conseguenza dei risultati. E qui emerge un altro punto fondamentale:

 

 

.

I ragazzi vengono a cantare se:

 

·        l’ambiente è accogliente e sereno”,

·        se è gratificante

·        e da spazio a tutti, bravi e meno

bravi, intonati e “stonati”, ma soprattutto

·        se “tu piaci a loro”,

·        se il tuo modo di fare li accoglie:

 

ma questa è una ricetta che vale per ogni insegnante-educatore, di ogni disciplina e non solo conduttore di coro.

 

 

È molto importante che l’insegnante si metta in gioco in prima persona: i tuoi alunni devono sentire emotivamente che credi in quello che fai e soprattutto che ti piace quello che fai e che sei lì per farlo con loro e per loro.  È così che può succedere che ti dicano, in-cantati, che hai una bellissima voce e, in tutta onestà, non è assolutamente vero! Non è la qualità della voce (anche se una bella voce indubbiamente aiuta il docente), ma è la

QUALITA’ DELLA RELAZIONE E  DELLA COMUNICAZIONE.

  Viene allora da chiedersi quali siano gli obiettivi che ci si deve porre quando si intraprende un’attività analoga.

  Senza voler fare una analisi dettagliata, perché questa non è la sede ne questo vuol essere il tono del mio intervento, cercherò dopo questa lunga  chiacchierata di schematizzare per punti gli elementi che ritengo più importanti quando si vuol lavorare con alunni di scuola elementare o media, situazione nella quale è inevitabile operare delle scelte che non sono quelle della selezione legata alle abilità vocali e/o musicali, ma dipendono maggiormente dall’innegabile valenza estetico-educativa del “cantare insieme”. A dire il vero, tali punti si potrebbero ricavare perfettamente anche soltanto leggendo le affermazioni fatte dai miei ragazzi in apertura.

 

 

1. creare motivazione favorendo la

fruizione attiva da parte del

maggior numero possibile di ragazzi

 

 

2. recuperare ed integrare alunni

difficili e/o demotivati

 

3. valorizzare le competenze già

acquisite in ambito extrascolastico

(alcuni alunni studiano privatamente uno strumento)

 

 

 

 

4. attenzione e sensibilità alla composizione

interna del coro: livello

medio e presenza di alunni appartenenti

ad altre  culture.

 

5. scelta di un repertorio adeguato

che rispetti: estensione e tessitura

delle voci – competenze individuali

– aspetto interculturale e

multi-etnico – recupero delle radici

e del canto popolare – gusti

e preferenze legati alla sensibilità

dei partecipanti – studio e

conoscenza di brani appartenenti

alla musica colta (“contestualizzando”

il canto è più facile far apprendere un repertorio “difficile”

o che sembra lontano dai gusti degli alunni)

6. produrre e ri-produrre musica di

buon livello, con un risultato

estetico che viene condiviso dal

gruppo, in tempi relativamente

brevi. All’inizio i ragazzi non

possono aspettare due o tre mesi

prima di sentire un risultato

gratificante. Devono poter uscire

sin dalla prima prova con la chiara

sensazione che si può fare

“buona musica”. Solo quando

questa sensazione sarà stata

adeguatamente interiorizzata si

può passare allo studio di brani più

complessi che richiedono un paziente

lavoro di concentrazione e limatura.

7. utilizzo di altri linguaggi: immagini,

teatro, proiezioni in multivisione, letture

espressive, sacre rappresentazioni,

ecc.

8. utilizzo del corpo: gesti/suono e semplici

movimenti coreografici

9. utilizzo dello strumentario: strumentario

Orff – strumenti etnici

Ciò attira indubbiamente gli alunni, affina il senso ritmico, impiega attivamente sin dall’inizio anche chi ha più difficoltà con il canto o chi è più inibito nell’uso della voce. Lo strumentario è un “medium” fortemente terapeutico. L’uso di uno strumento “delicato” come il salterio ad arco, nel momento in cui lo suoni ti porta ad essere delicato, l’uso di uno strumento “forte” come il tamburo o le percussioni africane ti permette di liberare, dominandola, la tua aggressività.

 È evidente che ognuno di questi punti è solo accennato, vuole solo essere uno stimolo per cominciare.   Non ho parlato dell’aspetto della socializzazione, ma emerge in modo inequivocabile dalle affermazioni dei ragazzi.

  Non ho parlato degli aspetti organizzativi e delle relative problematiche: orari, spazi, trasporti, coincidenza oraria con altre attività scolastiche od extra-scolastiche come catechismo, corsi di danza, nuoto, basket, calcio, ecc., ma in ogni singolo contesto si possono o si devono trovare le opportune soluzioni.

  Ho preferito puntare maggiormente l’attenzione sull’aspetto emotivo e relazionale che coinvolge allo stesso tempo docente, alunni e direi anche famiglie. Imparare a liberare e dominare la propria voce significa imparare a liberare e controllare le proprie emozioni, perché è proprio nelle vocali, predilette nel canto, la sede delle emozioni primarie dell’uomo: il riso, il pianto, le esclamazioni. Ogni uomo, indipendentemente dalla cultura di provenienza, dalla lingua, dallo status sociale, ride e piange con le vocali che provengono dal proprio interno e proprio per questo toccano le corde più profonde e coinvolgono emo-tonicamente il corpo, dando un linguaggio comune all’umanità.  Allo stesso modo, quando la voce potrà liberarsi e librarsi senza più costrizioni, potremo simbolicamente provare l’emozione dell’assenza di gravità e volare alto, e dall’alto, si sa, gli orizzonti sono più ampi. Non poniamoci quindi come primo obiettivo il risultato, ma il procedimento, che è affetto, comunicazione, condivisione ed emozione.

 

Da un’intervista ad  Annachiara Spadini , direttrice del coro della scuola media di Cologna Veneta. (da dossier Viaggio)

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