Il canto gregoriano o polifonico, o popolare sacro è preghiera cantata, quindi il suono deve essere sempre leggero, legato e umile.
Anche quando si esprime la lode gioiosa, il suono sarà più partecipato ma non dovrà essere grossolano o gridato.
Prima di cantare, sarà utile capire cosa si canta, il testo latino o in altre lingue va sempre tradotto e meditato in precedenza.
Quando si canta è logico ricordarsi che stiamo rivolgendoci a Dio, non siamo solo cantanti o musicisti; anche chi non ha il dono della fede, deve ricordarsi che sta praticando il canto sacro e quindi sia attento nel comportamento e nell’espressione del canto, rimanendo nell’ambito della lode e della preghiera.
Il canto sacro non cerca gli applausi; se questo consenso deve proprio avvenire, che sia espresso solo alla fine di una rappresentazione concertistica, mai nella liturgia.
In Chiesa, negli spostamenti, i cantori si muoveranno pacatamente senza guardarsi in giro per farsi notare, ma con l’umiltà di chi sta compiendo un’importante azione liturgica e culturale, con professionalità e buon gusto.
E’ necessario pronunciare bene il testo, il testo della preghiera cantata può essere molto interiore ma dovrebbe essere anche capito da chi ascolta; si trovi il giusto equilibrio tra interiorità e comunicazione.
Non si canti mai di gola, quando le note salgono è necessario girare il suono di testa, sarà possibile una migliore intonazione. Per salire bene, nelle note alte le vocali devono essere rimpicciolite, partecipate e pensate.
Attenzione alle note acute di passaggio, solitamente sono calanti perché gli si dà poca importanza.
Curare l’intonazione e partecipare sempre non solo con la voce ma anche e soprattutto con la mente; se pensiamo cosa stiamo cantando, la qualità automaticamente sarà molto buona.
Sia il canto sacro ispirato dal silenzio. Anche nelle nostre rumorose città, quando cantiamo sarà bene ispirarci al silenzio monastico, dove nel silenzio, Dio si rende manifesto.
Prima di cantare sarà bene fare qualche vocalizzo e poi, sopratutto serviranno il silenzio e la concentrazione.
La Chiesa, come edificio, è un luogo di culto, non un salotto o un teatro, al termine di una liturgia o di un concerto, non ci si fermi a parlare in Chiesa ma si esca a commentare, salutare o altro che non riguardi il luogo sacro.
Terminato il canto, è doveroso e gradito il seilnzio nel quale riecheggia la spiritualità del canto.
Nell’attuare queste idee, ricordo a me stesso e ai cantori: l’umiltà, la coerenza e il silenzio. Con gioia, convinzione e operosità.
G.V.