Cosa si deve sapere per comprendere Bach? Nulla. Per tutta la vita,
nel corso della mia attività scientifica,attività scientifica, ho
cercato incessantemente di avvicinarmi a Bach dal lato della
scienza, dell’intelletto, e di farne parte ad altri, affinché
anch’essi comprendessero Bach meglio di quanto non paia possibile
fare senza né scienza né intelletto. Ma quanto più volevo sapere,
e quanto più cercavo di trasmettere ad altri il sapere, tanto più
chiaramente ho dovuto poi riconoscere che in ogni ricerca del sapere
rimane un
residuo a cui il sapere non può attingere. E via via che
invecchiavo, il residuo si faceva sempre più grande, e vedevo in
modo sempre più limpido che in esso, in questo inattingibile, sta
la cosa principale, la più importante ed essenziale.
Questo residuo lo
chiamerò x.
Le cose stanno così: ogni ricerca intorno a Bach, il concepire in
quanto atto concettuale, il sapere prodotto dall’intelletto, tutto
ciò è costantemente alla ricerca di questo x. Inoltre,
l’infinitamente irraggiungibile è l’impulso che mai si inaridirà,
il vortice della ricerca concettuale, anche se, o proprio perché,
rimane alla fine inaccessibile all’intelletto. E d’altro canto
lo x è in pari tempo ciò che, ascoltando la musica di Bach
senza né ricerca concettuale né volontà di sapere, viene compreso
per primo. Questo comprendere situato al di là della concettualità
linguistica lo chiamo ‘comprensione estetica’. Qui
‘estetico’ non è inteso nel senso di bello o di estraneo alla
realtà, ma nel senso della parola greca aístánomai presa
nel suo significato di base, il percepire coi sensi. I nostri sensi
colgono ciò che risuona, che nella sua modalità d’essere è
situato al di là del linguaggio verbale; essi comprendono ciò che
risuona nel suo esser al di là in quanto linguaggio non
verbale. La comprensione estetica comprende lo x come x,
cioè comprende ciò che sul piano dei concetti dell’intelletto è
inattingibile. Quest’inattingibile può essere nominato: abbiamo a
disposizione nomi come l’inconcepibile, l’essente e vero
intemporale, l’assoluto, il trascendente, il divino, o
semplicemente: Dio.
Da
sempre la musica è oggetto di riflessione secondo
quest’orientamento di pensiero; la si è detta di origine divina,
dono di Dio, presenza di Dio, strumento della conoscenza di Dio.
Ogni volta che rileggiamo quel che l’uomo ha pensato sulla musica,
allorché ne ha interrogato il senso ultimo, l’enunciazione giunge
al confine dove si situa il "residuo", la cosa principale.
Giunge allo x e lo nomina coi concetti dell’inconcepibile.
Il Dio di Bach è il Dio cristiano. Questo lui non l’ha detto: di
Dio, a parole, Bach non ha quasi mai parlato. Soli Deo gloria
e regulierte Kirchenmusik zu Gottes Ehre (musica da chiesa
regolata per onorare Dio) significano semplicemente: Dio. Ma la
dimensione cristiana della fede di Bach è esperibile attraverso la
sua musica, sia quella vocale su testo liturgico sia quella per
organo legata al corale. La ricerca intorno a Bach trova
nell’esegesi musicale bachiana del testo, in una ricchezza
inesauribile, il Dio della rivelazione cristiana: come quando, ad
esempio, nell’intonare la parola sterben (morire) tutte le
voci del coro si spingono poderosamente in avanti – verso il
cielo. Ma le parole "Mensch, du mußt sterben" (O uomo, tu
devi morire) non sono lo x: sono una enunciazione articolata
nel linguaggio dei concetti. E neppure l’esegesi musicale di
queste parole, il gesto ascensionale delle voci, è lo x: è
una riunione linguisticamente concepibile di testo e musica in una
comprensione cristiana del morire. Lo x è l’elemento
sonoro in sé e per sé, sia esso ascensionale, come in questo
passo, o discendente, disperato o abbandonato o musicalmente neutro
o quale che sia la sua forma fenomenica. Lo x, anche dove gli
è conferito un concreto significare, è ciò che sta dietro la
facciata: l’elemento concettualmente inattingibile di quanto in
modo puro e semplice risuona musicalmente. Qualcosa di analogo
avviene nella musica strumentale, nella musica che sta al di là del
testo, ad esempio in una fuga di Bach. Noi possiamo descrivere
com’essa è conformata: tema, sviluppo e divertimenti,
contrappunto e armonia, elementi stilistici tipici del genere e
quelli irripetibili. E tutta questa approssimazione concettuale è
al servizio della comprensione mediante l’ascolto. Ma poi arriva
l’ascolto; e avviene lo scossone, quello che ci fa entrare
nell’Altro, nel mondo di ciò che risuona musicalmente. Quanto
viene descritto analiticamente si unisce all’ineffabilità e si
immerge in essa. Eppure, anche senza sapere cosa siano dux e comes,
contrappunto e armonia, elementi ricorrenti e unici, noi percepiamo
e comprendiamo ugualmente ciò che non sarà mai attingibile dalle
parole nella sua complessità sensibile, che in ogni suo momento è
al di là del linguaggio e fondamentalmente sta sopra ogni
linguaggio. Siamo andati a finire nel mondo dello x.
Un
accesso a Bach lo offrono anche la biografia, la storia, le
tradizioni di cui Bach si appropriò e che rinnovò nel corso della
sua vita, e che trovano un sedimento nella sua opera. Tutto questo
è in grado di spiegare molte cose: ad esempio la varietà della sua
produzione, radicata nella varietà degli incarichi professionali di
Bach e progressivamente svincolata da questa situazione; il legame
con la tradizione dell’artigianato musicale nel contrappunto, nel
basso continuo e nella polifonia; quel collocarsi, individuabile
nelle sue composizioni, tra luteranesimo, pietismo e illuminismo; la
partecipazione al mondo ecclesiastico, a quello legato alle
corporazioni e al mondo borghese, che andava nella direzione
dell’autonomia musicale, cioè di un pensiero musicale libero sul
piano estetico. Tanto si è studiato, pensato e scritto su questi
approcci, che la massa della produzione critica è ormai
incalcolabile; eppure le fonti pervenuteci vengono ogni giorno
interpretate di bel nuovo. Ma anche questi tentativi interminabili
di spiegare Bach a partire dalla storia cozzano tutti contro un
limite, un confine invalicabile. Collocandoci al di qua di
questo confine si può dire come la musica di Bach sia fatta in
connessione con la sua situazione biografica e storica, nei due
sensi di ‘storia generale’ e di ‘storia della composizione’;
al di là del confine resta però inspiegabile il fatto
generale che essa poté essere creata in quanto mondo sonoro –
quella domanda che rimanda alla capacità creativa, alla genialità,
al talento per la musica. Un talento concesso per grazia di chi?
Ogni volta che si pone questa domanda, si può rispondere solo con
lo x: per grazia di qualcosa di insondabile. E anche qui il
nome di Dio non è lontano. Così uno x si unisce
all’altro: la dimensione in ultima analisi inesprimibile della
musica si unisce con il talento per essa.
Ma
che Dio è mai quello che concesse a Bach la grazia di essere
musicista e che si manifesta come x nella sua musica? È un
Dio che si manifesta in modo storicamente determinato, formato dalla
storia della religione e della teologia, allo stesso modo che Bach,
com’è ovvio, appartiene ad un’epoca ormai trascorsa. Ciò
riguarda i testi, i generi, le forme e l’intera sintassi musicale.
Oggi nessuno compone più al modo di Bach. L’epoca storica del
primo Settecento tedesco, nella sua unicità, ha trovato dimora
nella musica di Bach. Tutto questo è accessibile alla conoscenza.
Ma come si spiega che Bach, sebbene legato ad un passato lontano,
non solo non abbia perso validità, ma anzi l’abbia vista
accrescersi incessantemente e ci appartenga in compiuta presenza? La
musica ha la capacità di toglier di mezzo la propria temporalità
nel senso del condizionamento e della collocazione storici. Tale
capacità essa la conquista perché gioca. Essa è un gioco coi
suoni secondo regole di gioco condizionate dal tempo e, nella
cornice di questo condizionamento, inventate di bel nuovo. Questo
principio regolativo forma un sistema in cui il gioco gioca sé
stesso e, in quanto sistema in sé sussistente e valido, in quanto
ordinamento che sussiste per sé ed è percepito per sé, mette
fuori gioco il condizionamento temporale. Chi ascolti musica, antica
e nuova, ne percepisce la temporalità, la fa entrare in sé, ma non
sprofonda in essa, bensì nel gioco, nel sistema del suo
ordinamento. Ora, decisivo per la sopravvivenza della musica, per il
suo ingresso nella sfera della durevolezza, è non solo il sistema
del gioco, ma anche la qualità del gioco stesso, cioè la ricchezza
di informazioni percepibili coi sensi, che come gioco si realizza.
Qui troviamo una volta di più un ambito situato al di qua
del confine. Infatti, la qualità dell’informazione può essere
riconosciuta come ricchezza; ad essa ci si può rivolgere in quanto
ricchezza (anche se non in modo esaustivo), e l’indagine
scientifica su Bach è, in quanto ricerca che ha per oggetto Bach,
costantemente (e anche qui senza fine) a caccia di questa qualità
dell’informazione.
Per
il fatto di essere in grado, mediante sistema, gioco e ricchezza, di
mettere fuori gioco il condizionamento temporale e di essere
presente in modo del tutto immediato, la musica perde in pari tempo
il proprio legame con la storia religiosa e con l’immagine della
devozione, anche dove è unita ad un testo di carattere sacro. Che
Bach fosse cattolico o evangelico, luterano o pietista, illuminista
o libero pensatore, tutto ciò non è inscritto nella modalità
d’essere della sua musica al di là del confine. Là però
sta l’essenziale: lo x. In esso – per così dire – la
sua musica perde ogni attributo divino, ma non Dio. Essa perde l’effabilità
per divenire essa stessa l’ineffabile. Rispetto all’ineffabilità
dello x, Bach non appartiene a questi o a quelli, ma a tutti.
E se l’ineffabile viene chiamato Dio, anche l’ateo, mentre
ascolta Bach, diviene teista. Questo non vale solo per Bach, ma per
la musica in genere, se essa è davvero musica secondo sistema,
gioco e ricchezza. Ma vale per Bach in misura particolare? Nella
storia degli effetti prodotti dalla sua musica, nella recezione
consapevole del fenomeno Bach, è riposto un fattore particolare. Al
nome di Bach sono saldamente uniti il Soli Deo gloria,
l’ufficio di Kantor a S. Tommaso, la messa in musica di testi
cristiani; e l’ascolto della sua musica – come evidenzia
l’ascolto comparativo – è sempre percezione d’un ordinamento
osservabile all’interno d’una grande ricchezza, come se in ogni
espressione della vita apparisse la stessa mano ordinatrice del
Creatore. Ma al di là del confine i dislocamenti operati dalla
storia della recezione, i confronti valutativi con altri ordinamenti
musicali e l’elevazione al trono della validità non sono
rilevanti. Qui rimane solo ciò che vale in genere per la musica al
di là del confine, la sua ineffabilità: lo x.
Tutto
quello che si è tentato sin qui di dire può essere ripensato in
forma di riflessione sulla musica delle Passioni. La Passione di
Cristo, la sua Crocifissione, è l’evento centrale del Vangelo e
del credente cristiano. L’historia in sé è orribile. Un
uomo viene tradito, imprigionato, deriso, flagellato e crocifisso.
Tutto questo avviene per volontà di Dio, ed egli risorgerà: ma ciò
non toglie nulla all’orrore, alla miseria e al dolore della via
alla Croce e alla Passione. Mio Dio, perché mi hai abbandonato?
Tuttavia la musica con cui Bach racconta la passione non è
orribile, neppure dove rappresenta coi propri mezzi l’orrore, e
neppure dove con tutte le modalità del suono introduce alla miseria
e al dolore. Se, in generale, sia possibile (sia lecito) mettere in
musica la Passione, è domanda che potremmo non stancarci mai di
ripetere. Ma è una domanda che porta una volta di più oltre Bach,
verso tutte le musiche per la Passione composte in passato e quelle
che lo saranno in futuro. La musica è per principio ed essenza un
gioco coi suoni in un sistema organizzato del gioco, in cui sviluppa
la propria ricchezza estetica. In questa sua modalità d’essere è
selezionata rispetto alla realtà e, anche dove si apre alla realtà,
esteticizza in modo inevitabile ciò a cui si apre. L’orrore, il
dolore e la sofferenza della Passione vengono da essa selezionati,
allontanati dalla realtà e trasferiti nel suo mondo estetico; essa
rapisce l’ascoltatore nella bellezza del proprio gioco. Bach pare
aver riflettuto su questo aspetto, all’interno della
dimensione musicalmente estetica, in un luogo centrale delle sue
musiche per la Passione. Nella Passione secondo Matteo tutte
le parole intonate da Gesù sono messe in evidenza da un
accompagnamento di archi a quattro parti. Lo si è interpretato come
contrassegno della sacralità di Gesù. Facendo riferimento a
quest’immagine, si può anche dire che la musica – la sua
bellezza e ineffabilità in quanto suono degli strumenti ad arco –
rinvia al fatto che Gesù è figlio di Dio; la musica è presso di
lui e presso le sue parole, proprio come Dio è presso di lui e
parla attraverso lui. Ciò può essere confermato dall’unico passo
in cui l’accompagnamento degli archi tace, cioè al momento delle
sue ultime parole: "Eli, Eli, lama, lama asabthani?". Però
il canto che sostiene queste parole è esso stesso musica. E la
domanda se si debba in genere mettere in musica la Passione, questa
domanda neppure la Passione secondo Matteo può rimuoverla:
tuttavia con la musica delle parole di Gesù essa accenna nella
direzione di una risposta.
Tentando
di rispondere a quella domanda ("se in genere…"), il
senso del limite si fa una volta di più acuto. All’interno del
mondo estetico si schiude, dietro a tutto ciò che è
concettualmente afferrabile e conoscibile, un qualcosa di
razionalmente irraggiungibile, ineffabile: lo x, per il quale
– se si vuole – può essere introdotto il nome di Dio, proprio
come è stato introdotto innumerevoli volte nel corso della storia
umana. Considerata in questa prospettiva, e con valore universale,
la musica prende anche la Passione nelle mani di Dio, là dove anche
orrore, dolore e sofferenza sono in essa annullati.
(Traduzione
dal tedesco di Maurizio Giani)