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RAPPORTI TRA RETORICA LETTERARIA

E SCRITTURA MUSICALE NEI SECOLI XVII-XVIII

Un percorso per conoscere e capire la musica antica

a cura di Roberto Fasciano

 

   Il termine retorica indica propriamente l’arte della parola. Essa viene utilizzata quotidianamente, infatti, ogni espressione linguistica contiene in sé una determinata forma riconoscibile.

  In antichità la retorica veniva utilizzata per sostenere le cause in giudizio nei tribunali. Sue funzioni erano probare, delectare, flectere (dimostrare, dilettare, commuovere l’animo) attraverso l’amplificatio, l’ornatus, il numerus (l’amplificazione dei fatti narrati, l’ornamentazione e il ritmo).Successivamente tale arte acquisì una notevole importanza politica, perché permetteva a chi prendeva la parola di tenere viva l’attenzione dell’assemblea, attraverso un discorso organizzato secondo precise leggi che regolavano le parti che lo componevano (invenzione, elocuzione, disposizione).La retorica può persuadere dimostrando e commuovendo il pubblico, mettendolo in oltre, attraverso un opportuna presentazione del discorso ed un adeguato utilizzo della voce, nello stato d’animo dell’oratore.

Fin dall’inizio si verificarono, nella retorica, due tendenze: una che dava importanza al contenuto e alla disposizione degli argomenti e l’altra che insisteva sulla forma. Nel V secolo, ad Atene, i fondatori di questa disciplina, secondo quanto tramanda Aristotele, furono Corace [1] e Tisia [2],ma il primo che aprì una vera scuola di retorica fu Gorgia,[3] che sfoggiava uno stile brillantissimo, nel quale prevalevano ritmo, armonia e un gran numero di figure (il suo stile fu definito "sublime").

Aristotele si occupò della retorica riconoscendola -a differenza di Platone (del quale aveva in un primo tempo seguito le teorie) – quale arte, partendo dal principio che "somma eloquenza è uguale a somma sapienza". Dopo Aristotele la retorica divenne materia di insegnamento comune, data l’importanza che le attribuì per l’esposizione comunicativa del sapere. Il rischio di un irrigidimento formalistico venne avvertito e contrastato dalla scuola di Rodi (I secolo a.C.) alla quale si formò Cicerone.

Il primo trattato romano di retorica è la Rhetorica ad Harennium, anonima ,ma fu Cicerone che per primo si dedicò allo studio teorico della retorica, dedicandole i trattati De inventione, De oratore, Orator, nei quali traccia la storia dell’oratoria romana, riesamina i vari stili e sostiene che l’oratore deve tener conto non solo degli argomenti, ma anche della elaborazione formale.

Nel Medio Evo molti scrittori utilizzarono la retorica per propagare la nuova fede e per interpretare le figure allegoriche presenti nelle Sacre Scritture.

L’Umanesimo, accettando quale modello la classicità ne accettò anche l’insegnamento della retorica attraverso le riscoperte opere di Cicerone, Quintilliano, Aristotele: la ricerca formale veniva pertanto trasferita dal latino alla lingua volgare riducendo però la retorica, nello stesso tempo, unicamente a dottrina dell’ornato.

Il Romanticismo e la cultura posteriore opposero alla retorica, arte che unisce forma e contenuto, il concetto opposto di ispirazione libera ed individuale.

In quest’ultimo secolo studiosi come Kretzshmar, Goldschmidt, Schering, hanno analizzato e dimostrato l’importanza della retorica come base teorica ed estetica della musica, in particolare della musica rinascimentale e barocca.

Nel 1416 venne scoperta l’opera di Quintilliano "Institutio oratoria" in cui l’autore sostiene che la retorica permette al compositore, a somiglianza dell’oratore, di suscitare in colui che ascolta la musica particolari stati emotivi: tristezza, gioia, odio, amore, ecc. Nel Rinascimento numerosi furono gli studiosi che indagarono le relazioni tra la musica e le immagini retorico – musicali che dovevano illustrare le parole e le idee espresse nel testo. Nacquero, pertanto, opere quali la "Musica poetica" di Listenius (1537) e "Hypomnematum musicae" di J. Burmeister (1599), le quali analizzavano a fondo il tipo di musica del loro tempo ed in particolare la struttura retorica e l’impiego in essa di figure retoriche. Nel 1563 G.Dressler propose, nel suo trattato "Praecepta musiace poeticae", una suddivisione della composizione musicale in exordium, medium, finis, secondo lo stesso schema di un’orazione; il comporre una musica diveniva in tal modo una scienza basata sulle relazioni tra parola e musica. Orlando di Lasso fu il maggior esponente di tale maniera di comporre musica. Ma è in epoca barocca che la composizione musicale raggiunse una perfezione ed una unità stilistica tali da riuscire a rappresentare ogni tipo di emozione. La musica in quest’epoca divenne perfetta expressio verborum, vale a dire rappresentazione musicale della parola, non già tramite mezzi psicologici ed emotivi ma figurativi ed intellettuali. I compositori di quest’epoca lavorano tenendo sempre presenti le possibili reazioni dell’uditore e tutti gli elementi della musica (ritmo, struttura armonica, tonalità, colore, ecc.) erano utilizzati al fine di suscitarle. I sentimenti, tuttavia, non erano visti in chiave psicologica bensì classificati e stereotipati in una serie di cosiddetti "affetti", rappresentanti ognuno un determinato stato mentale, e il compositore disponeva di innumerevoli figure musicali catalogate come gli stessi "affetti" e destinate a rappresentarli nella musica.

Tali figure corrispondevano così al decoratio (uno degli elementi costitutivi dell’orazione). Ciò che differenziava la musica rinascimentale da quella barocca era la preferenza, nel Rinascimento, per gli "affetti" di lineare semplicità, e la propensione, in epoca barocca, per gli affetti più esagerati, dal dolore cocente alla più intensa gioia. Il maggior esempio della realizzazione in musica degli "affetti" esasperati è l’opera, in cui la musica diviene il fine drammatico.

Per tutto il secolo XVIII i concetti retorici influenzarono la musica e i musicisti tennero accuratamente conto della retorica nelle loro composizioni, ma fu soprattutto in J.S. Bach che essa trovò la più perfetta applicazione. Già dalla fine del ‘700, tuttavia, quegli stati d’animo, quelle forme emotive che nel secolo precedente erano stati espressi nella musica, con immagini ben determinate, corrispondenti a concetti retorici, avevano a poco a poco perso tale connotazione di razionalità e venivano ormai identificati come stati soggettivi, propri del carattere di ciascun musicista e pertanto impossibili da rappresentare in modo univoco.

Numerosissime sono le classificazioni delle figure retoriche musicali proposte nei trattati dai teorici nei secoli XVII e XVIII, specialmente dell’area tedesca, impiegando una terminologia greca o latina, che avrebbe dovuto individuare e caratterizzare le singole figure. Basandosi su tali trattati, H. H. Unger (1941) ha contato circa 160 figure retoriche- musicali; tra queste, nell’elenco seguente, cito alcune delle più frequentemente usate:

PASSUS DURIUSCULUS: consiste in una scala cromatica ascendente o discendente che esprime dolore e afflizione

(soprattutto in quella discendente), fatica e affanno (soprattutto in quella ascendente);

ANABASI: è tra le figure musicali che non trovano il loro corrispondente nelle figure retoriche. Si tratta quindi di una forma di descrizione musicale con la quale esprimiamo "exaltationem". E’ facile dunque collegare intense emozioni ai suoni acuti, come conferma il fatto che un grido è tanto più acuto quanto è più violenta l’emozione che lo provoca. Beethoven scrive: "le voci ascendono o discendono secondo che i sentimenti prendono o perdono forza";

ANAPHORA: viene definita come "figura che consiste nella ripetizione di una o più parole all’inizio dei versi o degli enunciati successivi, con una rimarcatura enfatica dell’elemento ripetuto". Analogamente in musica la ripetizione sottolinea e conferma il significato di cui è portatore il tratto ripetuto;

ANTITHETON: l’antitesi, è definita nella retorica come "figura di carattere logico che consiste nell’accostamento di due parole o frasi di senso opposto". Si ha un effetto di antitesi quando vi è, durante il discorso musicale, un improvviso mutamento del materiale tematico. L’antitesi ha, dunque, un carattere contrario all’anaphora, essendo quest’ultima una ripetizione enfatizzante di un inciso o di una frase musicale;

PARONOMASIA: è una figura morfologica che si produce mediante l’accostamento di due parole con una analoga sonorità. Ad esempio "salendo e mirando" o l’anagramma "Silvia salivi". In musica consiste nella ripetizione di un frammento con aggiunte melodiche, ma anche con variazioni agogiche e dinamiche.

 note al testo:

[1]  Corace di Siracusa  E' tra i fondatori - non si sa se sia stato maestro o collega di Tisia - della scuola Siciliana di retorica. Sappiamo che è nato e vissuto a Siracusa nel V secolo a.C. Secondo Aristotele il merito della scoperta delle norme retoriche va a Empedocle (vedi Diogene Laerzio VIII, 57) contemporaneo di Tisia e di Corace. Tisia scrisse il primo manuale di retorica, ma sia Cicerone che Platone inseriscono il nome di Corace in tale prestigioso contesto (Fedro, 273, d):

" (...) com'era perfettamente occultata l'arte che ha scoperto Tisia, o chiunque altro esso sia e con qualsiasi nome gradisca di essere chiamato". (Platone, Fedro, A. Mondadori, Milano, 1951).
"Egli (Carmada; n.d.A.) diceva d'apprima che, quasi a farlo apposta,, non c'era mai stato tra coloro che avevano scritto trattati di retorica uno che avesse saputo parlare, neppure in maniera decente, a partire da un certo Corace e da Tisia che, come tutti sanno, sono stati gli inventori e gli iniziatori di quest'arte, mentre poteva ricordare un numero incredibile di uomini eloquentissimi, che non avevano appreso codeste norme (...). Tutte le questioni che vengono trattate dagli oratori sono vaghe e incerte, perché provengono da persone che non hanno piena coscienza di esse e sono ascoltate da gente a cui non vengono comunicate esatte cognizioni, ma solo opinioni momentanee e false o per lo meno oscure". (Cicerone, De Oratore I 91,92; a cura di G. Norcio, UTET, 1976)

Si reperisce in Quintiliano:

"Si dice infatti che Empedocle sia stato il primo, dopo coloro di cui parlano i poeti, che abbia dato un impulso all'arte retorica. I più antichi scrittori di retorica furono poi i Siciliani Corace e Tisia, ai quali seguì un uomo di quella medesima isola, Gorgia di Leontini, che fu, si dice, discepolo di Empedocle" (Quintiliano, Institutio oratoria, III, 1, 8; I Presocratici, test. e fram. Laterza, 1994)

E considerando che Empedocle era un pitagoreo si può attribuire agli insegnamenti di Pitagora del merito nella creazione di tale scienza.

Di passaggio: viene a chiunque spontaneo riflettere sulla grande importanza odierna della facilità di comunicare, per gli scopi più diversi, contemporaneamente con i propri connazionali. E si prospetta maggiore spazio per chi si dedichi alla retorica, per scopi politici e commerciali: televisione via satellite o reti mondiali per comunicazioni via computer. Occorrerà stare attenti a che il "politichese" di oggi non diventi un peggiore veicolo di falsità, celate dentro false creazioni culturali, per esempio, o suggestioni emotive.

Quel "chiunque altro" di Platone viene individuato dai critici in Corace; forse, si può, da quanto "detto" da Socrate azzardare l'ipotesi che Corace sia stato maestro schivo, o comunque dal carattere singolare - ma non per l'epoca - che intuendo la potenza della parola ha mutato o celato il proprio nome.

Sempre secondo Aristotele il manuale di retorica con le regole di tale arte sarebbe stato redatto a quattro mani da Corace e Tisia; mentre la fonte ispiratrice, col suo stile ampolloso, maestoso, fu Empedocle. Aristotele teorizza che poi Tisia avrebbe messo per iscritto le norme definite da Corace, e riguardanti principalmente la centralità del concetto di verosimile, più valido ai fini retorici dello stesso raggiungimento della descrizione del vero.

E si è del parere che i due ebbero modo di mettersi in evidenza sulla scena politica del loro tempo grazie a dei disordini sociali in cui poterono constatare l'efficacia del nuovo modo di impostare le proprie tesi, indirizzando la furia popolare ad Agrigento IMG - contro il tiranno Trasideo, nel 472 a.C. - e a Siracusa - avversa Trasibulo nel 466.

Il fatto che il suo nome in greco significhi "corvo" viene usato da Cicerone per criticare l'aspetto teorico della dottrina di Corace, che vuol fare a meno della "pratica del foro", e di "tutte le opere dei filosofi" per raggiungere le sue mete dialettiche (De Oratore, III, 80, 81). Cicerone nel Bruto (12, 46) sostiene, infine, che:

(...) quando, abbattuti in Sicilia i tiranni, i beni privati furono rivendicati mediante azioni giudiziarie a causa del lungo tempo intercorso, allora per la prima volta, essendo quella gente acuta e per natura litigiosa, i siciliani Corace e Tisia composero un insieme di precetti (...)

 

[2]Tisia di Siracusa, con il maestro Corace e l'allievo Gorgia, rappresentano la scuola Siciliana cui viene attribuita l'invenzione, l'elaborazione di norme della retorica.

Tisia, nato a Siracusa nel 480 a.C., di professione logografo, pare che tra i suoi allievi ebbe Isocrate (436 - 338 ) venuto da Atene - poi divenuto l' oratore favorevole alla guerra contro i Persiani, che si lasciò perciò morire di inedia dopo la sconfitta di Cheronea - e Lisia (440 - 380) sempre di Atene, nato di padre siracusano e che ci ha lasciato 34 scritti giudiziari, tra i quali uno per se stesso e che fu fine oratore, pur se criticato negativamente da Platone nel Fedro. Nello stesso, Platone descrive oggettivamente l'opera di Tisia e del suo allievo Gorgia:

"Essi (Tisia e Gorgia, n.d.A.) ebbero in realtà la percezione che più del vero bisogna pregiare il verosimile, inoltre con la potenza delle parole, fanno apparire grandi le cose piccole e piccole le cose grandi, poi agli argomenti nuovi danno l'apparenza dell'antico e inversamente ai loro contrari il fascino della novità, e furono infine gli inventori dei due opposti principi: della concisione dei discorsi e della prolissità senza limiti, su qualsiasi argomento". (Platone, Fedro, 267; A. Mondadori, Milano, 1951)

Cicerone riferisce con sicurezza ciò che sa di Tisia e di Corace, riportandoci la occasione storica che è servita da ispirazione per la loro ideazione:

"Apprendiamo da Aristotele che quando in Sicilia fu abbattuta la tirannide, i cittadini ripresero dopo un lungo intervallo, a far valere loro diritti davanti ai tribunali; e siccome quella gente era per natura ingegnosa e portata ai litigi, i siculi Corace e Tisia scrissero dei manuali sull'arte del dire: cosa che avveniva per la prima volta, perché prima di allora nessuno aveva parlato sulla base di norme teoriche, per quanto parecchi fossero soliti parlare in uno stile chiaro e ordinato. (...) La stessa cosa fece Gorgia, che scrisse elogi e biasimi su singole questioni, convinto com'era che è compito precipuo dell'oratore esaltare una tesi con le lodi e d'altra parte abbassarla con i biasimi". (Bruto 46, 47; a cura di G. Norcio, UTET, 1976)

L'opera di Tisia consta di un manuale di retorica, il primo composto di questa disciplina, e delle orazioni giudiziarie: in estrema sintesi la sua tecnica può descriversi in tre parole: inventio senza elocutio. Nel 427 con altri allievi accompagnò Gorgia ad Atene, come abbiamo già detto.

 

 

[3]  Gorgia di Lentini
 era il figlio di Carmantide e nipote del famoso medico Erodico e lo ricordiamo come il più notevole rappresentante della antica sofistica dopo Protagora, e, insieme al suo maestro Tisia, il creatore dell'arte retorica. Così lo ricorda già Cicerone, come colui che volle:

"dichiararsi pronto a rispondere a tutte le domande, che ciascuno volesse fargli".

(I, 103; De Oratore, a cura di G. Norcio, UTET, 1976).

Come date di nascita e morte possono essere assunte orientativamente quelle del 483 e del 375 a. C., morendo quindi ultra centenario. Con l'esercizio e con l'insegnamento dell'arte oratoria, una novità anche per il mondo greco, diventò ricco al punto da poter dedicare, a Delfi, una statua d'oro al dio Apollo. Nel 427 andò ad Atene come ambasciatore di Leontini, in cerca di alleanze contro lo scomodo potere siracusano, e lì si fece apprezzare come retore finissimo trovando imitatori: famoso il suo Epitafio, per commemorare dei soldati ateniesi morti in guerra.

Dello stesso avviso non pare Platone che, nel suo Gorgia, lo pone in contrasto critico con Socrate (447, c):

"Ma vorrà poi Gorgia discutere con noi? Perché io vorrei sapere da lui quale è la virtù propria di quest'arte che egli professa e insegna e in che cosa precisamente consista".

E più avanti (449, a):

Socrate - 'Piuttosto, Gorgia, dicci tu stesso come dobbiamo chiamarti e che arte è la tua'.
Gorgia - 'La mia arte è la retorica'.

E ancora, dove Platone crea il dialogo tra Socrate e Gorgia in modo che questi si contraddica, quasi a rivelare una latente rivalità per l' espressione culturale - confronta con la scheda su Tisia - proveniente da una ex terra colonica che diventa sempre più sede di potenti città, usando pure lo stratagemma di "chiedere" a Gorgia risposte concise, mentre il suo Socrate articola domande molto meglio costruite (454/455):

Socrate - Ti sembra che sapere e credere, ossia 'scienza' e 'opinione', siano la stessa cosa?
Gorgia - No; direi che son cose distinte.
Socrate - E diresti bene. Infatti se uno ti domandasse: 'Gorgia v'è una opi nione falsa e una vera?' tu risponderesti di si, credo.
Gorgia - Di si, certo.
Socrate - Ma la scienza può essere falsa e vera?
Gorgia - Assolutamente no.
Socrate - E' proprio vero, quindi, che scienza e opinione non sono la stessa cosa.
Gorgia - Infatti.
Socrate - Eppure vi ha persuasione sia in quelli che hanno scienza che in quelli che hanno solo opinione.
Gorgia - Lo credo bene.
Socrate - Dobbiamo stabilire, pertanto, due specie di persuasione: quella che produce opinione senza il sapere, l'altra che produce scienza.
Gorgia - Hai ben ragione.
Socrate - E allora dimmi, o Gorgia, quale delle due persuasioni produce nei tribunali e nelle altre adunanze la retorica intorno al giusto e all'ingiusto? Quella, cioè, da cui deriva opinione senza sapere, oppure l'altra da cui deriva il sapere?
Gorgia - Evidentemente quella da cui deriva opinione senza sapere.
Socrate - Dunque la retorica, a quanto pare, è produttrice di quella persua sione che induce all'opinione senza il sapere, e non alla scienza del giusto e dell'ingiusto.
Gorgia - Così è.
Socrate - Di conseguenza il retore non insegna nei tribunali e nelle altre adunanze nulla intorno al giusto e all'ingiusto, ma suscita soltanto una semplice credenza. Ed infatti, come potrebbe in così breve tempo insegnare ad una moltitudine di gente cose di così grande importanza?
Gorgia - Sarebbe effettivamente impossibile.

(Platone, Gorgia, trad. Vito Stazzone, Ed. APE, Catania, 1944)

Tale dialogo di Platone induce a riflettere: l'autore ambienta l'incontro nel 427 a.C, cioè quando Gorgia andò in Atene, ma parrebbe composto intorno al 395, dopo cioè l'avvenuta condanna a morte di Socrate; condanna ottenuta dal potere suggestionante della retorica, a danno del giusto: a danno del giusto Socrate. E il dialogo sopra riprodotto - che andrebbe letto per intero - è colmo di giusto rancore: "Quando dicesti che il retore avrebbe potuto servirsi della retorica anche ingiustamente, io rimasi perplesso (...)". L'animo di Gorgia si risentì dello scritto dell'allievo di Socrate che lo vedeva protagonista: il siciliano non avrebbe consentito che la nuova scienza venisse applicata malamente. Fanno fede i suoi componimenti ulteriori.

I lavori di Gorgia, oltre l'Epitafio, sono di tematica mitica: l'Elogio di Elena, La difesa di Palamede, e filosofica: Sul non ente o della natura; l' Olimpico e il Pitico sono andati perduti; del Discorso agli Elei abbiamo ben poco.

Tra gli altri suoi viaggi vi sono quelli a Fere in Beozia e in Tessaglia, e fu altre volte in Atene. La sua dottrina contiene un intendimento dell'arte oratoria come produttrice di persuasione: non occorre cioè che chi ascolta si convinca che ciò che ode è la verità, bensì è più utile che questi si convinca praticamente, piegandosi alla causa sostenuta dall'oratore. Nell'Elogio di Elena alla parola viene dato il potere di dominare la vita, influenzandone le scelte anche affettive, per cui la donna non ha colpa per quel che è accaduto tra i Greci e i Troiani perché fu spinta dagli dei o dalle parole.

E saper accostare parola a parola può determinare la modellatura dell'animo del singolo, come del carattere della folla. La parola può modificare l'anima di chi la ode, e tramite la poesia può anche indurre nuove esperienze (concezione di cui è evidente la parentela col relativismo gnoseologico di Protagora). E le due opere prima citate, dedicate a Elena e Palamede, sono saggi tipici di tale abilità retorica, nata con Gorgia. Nell'opera Sul non ente Gorgia sostiene tre tesi: nulla esiste, se esiste non è conoscibile dall'uomo, se è conoscibile non la si può comunicare ad alcuno, specialmente col solo uso della parola.

"La critica più recente ha chiarito, sopratutto mediante l'analisi comparativa delle due esposizioni che ci restano dello scritto gorgiano (quella di Sesto Empirico e quella dello Pseudo-Aristotele), come l'esposizione di Sesto, da cui deriva l'immagine del Gorgia effettivamente scettico e nichilista, sia in realtà deformata dalla sua intenzione di dossografo dello scetticismo, e debba quindi cedere il passo all'esposizione dello Pseudo-Aristotele, nella quale l'intenzione di ironia antieleatica dello scritto di Gorgia appare concretamente connessa al suo relativismo sofistico" (Dizionario Enciclopedico Italiano, ed. Treccani).

Rileggiamo la conclusione dell'Elogio di Elena:

"Così con le parole ho liberato la donna dalla sua cattiva fama secondo la premessa del mio discorso: e sforzandomi di distruggere l'ingiustizia di un'infamia e l'ignoranza di una opinione, questo discorso ho voluto scrivere, non solo per elogiare Elena, ma perché fosse a me di passatempo". (trad. Maddalena, La lett. greca, op. cit.).

Sul valore che Gorgia attribuisce al passatempo, allo scherzo, abbiamo una nota di Aristotele, inquadrata con altre e che forse sono traccia di una seconda trattazione sulla Poetica, a noi non pervenuta:

"Su ciò che fa ridere, dal momento che esso sembra avere una sua utilità nei dibattiti, e che Gorgia ha detto, e ha detto bene, che occorre distruggere la serietà degli avversari con il riso e il riso con la serietà, quante siano le forme del comico si è detto negli scritti sulla poetica: di queste l'una si adatta all'uomo libero, l'altra no, e si deve scegliere quel che meglio si adatta" (BUR, app.A).

La lezione di Gorgia è tra quelle immortali dei classici, ed in generale è tra le più alte lezioni dell'ingegno umano. Per noi immortale vuol dire davvero rileggere Gorgia con attenzione; pare oggi un esercizio nuovo l'ascoltare, a saper meglio valutare la enorme mole di informazioni - che in molti hanno interesse a che venga intesa tutta come cultura - che ci circonda.

Ricordiamo un aneddoto grazioso che si narra a proposito del famoso viaggio di Gorgia in Atene. Lì egli arringò a lungo la folla, facendo risaltare la differenza di temperamento che sussisteva tra gli abitanti della Sicilia e della Magna Grecia, e tutti gli altri, definiti barbari. I barbari, diceva Gorgia, vivono nella discordia perché vivono tra loro senza armonia. L'armonia sarebbe stata, secondo l'oratore, il segno distintivo della superiorità greca sui nemici, e ciò avrebbe accresciuto la stima ed il timore dei barbari nei confronti dei greci. A questo punto uno della folla, un anonimo saccente, volle appuntare a Gorgia una annotazione sulla sua situazione familiare.

"Noi siamo in tanti, Gorgia", disse l'uomo, "e ci suggerisci di andare d'accordo e in armonia; tutti sanno però che a casa tua siete in tre, tu tua moglie ed il servo, e litigate da mane a sera. Non credi che avrebbero più effetto i tuoi discorsi se si sapesse che voi tre non recate molestia ai vicini?"

Frammento:

da ORAZIONE OLIMPICA
Degni dell'ammirazione universale, o Greci (...). Ed alla nostra gara
sono necessarie due virtù: audacia e sapienza, per svelare l'enigma;
perché la parola come il bando dell'araldo in Olimpia chiama chi si
offre, ma incorona chi riesce.

(Clemente Aless.;in I Presocratici, testimonianze e frammenti; Laterza; 1994)

Gorgia fu tra i Maestri di Antistene (con Socrate); questi poi fondò con altri la scuola detta Cinica.

 

Roberto FASCIANO

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