In questa canzone, Fabrizio de André espone la realtà del tossico-dipendente e riesce a descrivere molto bene il suo più autentico stato d'animo in quei terribili momenti di vuoto, la sua commiserazione, la mancanza di fiducia in sé stesso e nel domani, la paura, la mancanza di comunicazione, il disprezzo e la rabbia, rivolgendo alla fine un grido disperato di aiuto.
ARGOMENTI CORRELATI: problematiche del disagio giovanile: La droga.
Ho licenziato Dio gettato via un amore per costruirmi il vuoto nell'anima e nel cuore Le parole che dico non han più forma né accento si trasformano i suoni in un sordo lamento Mentre fra gli altri nudi io striscio verso un fuoco che illumina i fantasmi di questo osceno giuoco Come potrò dire a mia madre che ho paura? |
Chi mi riparlerà di domani luminosi dove i muti canteranno e taceranno i noiosi Quando riascolterò il vento tra le foglie sussurrare i silenzi che la sera raccoglie Io che non vedo più che folletti di vetro che mi spiano davanti che mi ridono dietro Come potrò dire la mia madre che ho paura? |
Perché non hanno fatto delle grandi pattumiere per i giorni già usati per queste ed altre sere E chi, chi sarà mai il buttafuori del sole chi lo spinge ogni giorno sulla scena alle prime ore E soprattutto chi e perché mi ha messo al mondo dove vivo la mia morte con un anticipo tremendo? Come potrò dire a mia madre che ho paura? |
Quando scadrà l'affitto di questo corpo idiota allora avrò il mio premio come una buona nota Mi citeran di monito a chi crede sia bello giocherellare a palla con il proprio cervello Cercando di lanciarlo oltre il confine stabilito che qualcuno ha tracciato ai bordi dell'infinito Come potrò dire a mia madre che ho paura? Tu che m'ascolti insegnami un alfabeto che sia differente da quello della mia vigliaccheria |
Testo: F.De Andrè – R.Mannerini Anno di pubblicazione: 1968